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Candidati alla guerra civile PDF Stampa E-mail

2 Giugno 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 28-5-2023 (N.d.d.)

[…] Riguardo gli USA, c’è da segnare come, finita la presidenza Trump, le notizie date qui su quel mondo sono semplicemente sparite. Sulla Gran Bretagna, talvolta, qualche europeista prova piacere a raccontare i significativi malesseri britannici addebitandoli alla Brexit, ma niente di più. Infine, col nuovo governo, siamo diventati “amici preferiti” tanto dell’uno che dell’altro. Nel caso americano ne va anche della coerenza di allineamento geopolitico con attualità nel conflitto ucraino, posizione super-partes nello schieramento politico italiano che per altro, secondo scarni sondaggi, non rifletterebbe per niente il sentimento maggioritario del Paese. Quindi sugli USA, dal punto di vista interno, non c’è niente da dire?

Nel 2022, una storica americana specializzata in conflitto civile (fondazione storica degli States), ha fatto clamore, sostenendo che in base alla letteratura di analisi storica generale, si potevano sintetizzare alcuni punti di crisi che potevano far prevedere l’imminente rischio di scoppio di una “stasis”. Secondo B.F. Walter, gli Stati Uniti sono oggi dei perfetti candidati a piombare nella guerra civile. È stata seguita da altri autori e molta eco mediatica, sia americana che britannica, hanno amplificato il tema ponendolo al centro del dibattito pubblico. In un recente articolo di Caracciolo sulla Stampa, lo studioso usa questa espressione “Oggi l'America non si piace più. Come può affascinare gli altri?”. Buon annusatore dello spirito del tempo, Caracciolo si è convertito già dall’editoriale sull’ultimo numero di Limes ora in edicola, alla verità dell’epocale transizione dei poteri nel mondo, segnalando come gli Stati Uniti abbiano perso l’aurea e con essa il soft power. Ribadisce George Friedman sulla stessa rivista, nel titolo della sua analisi “Gli Stati Uniti sono prossimi a un collasso interno”, sorbole! L’elenco di Friedman cita “rivendicazioni sociali al picco di intensità, questioni morali, religiose, culturali”, poi ci sono i fallimenti bancari, le revisioni strategiche verso la globalizzazione, il grande punto interrogativo cinese, ombre scure sui Big Five dell’on-line (che per altro licenziano a manetta) e le oscure sorti progressive dell’A.I., la Nasa che pare non sappia più come fare una tuta da astronauta, figuriamoci mandarlo sulla Luna; permangono attriti sui flussi migratori e sempre forti sulla convivenza razziale. C’è anche una profonda crisi interstatale/federale che arriva fino al ruolo del Congresso e della Corte Suprema. “Mai nella storia, vi è stato un tale livello di rabbia e disprezzo reciproco tra gli americani”, è la nota inquietante di Friedman. Se ne danno davvero di santa ragione su questo e su quello a livelli veramente pre-isterici, quando non si sparano e fanno e parlano di cose in modi davvero bizzarri (Dio, aborto, transessuali che risulterebbero solo lo 0,5% della popolazione, tradizionalismo e progressismo, pedofilia, complotti surreali et varia).

Questa agitazione, che più d’uno ha interesse a radicalizzare, trova il suo inferno su Internet ed i social. Quanto ai social, è il formato stesso dell’interazione anonima, con scritto privo di corredo facciale e comportamentale, costretto in spazi più da battuta che da discorso argomentato (woke! cristofascista!), la clausura nelle piccole comunità dei comuni pensanti che si eccitano a vicenda, a dar benzina a braci già ardenti. Radicalizzazione ci mette del tempo a costruirsi e non si smonta in tempi brevi, deposita rancori, astio, odio viscerale. Alla fine, non è più una questione di argomenti ma di irrigidimenti. Sebbene sia una nazione di 330 milioni di persone (con, si stima, 400 milioni di armi private, molte di livello militare) e pure con una composizione assai varia, tende a spaccarsi semplicemente in due ed il formato “noi contro loro”, alimenta il suo stesso radicalizzarsi semplificando. La semplificazione, del resto, è un tratto caratteristico della mentalità americana empirico-pragmatica ovvero sovrastimante il fare al posto -o priva- del pensare.

L’aspettativa di vita in America è in caduta libera da circa un decennio: è arrivata a 76,1 anni (da noi è da cinque a dieci anni di più). Grandi balzi in avanti tanto della mortalità infantile che di quella generale: diffusione armi ormai fuori controllo (in America oltre 200 persone al giorno vengono ferite da armi da fuoco, 120 vengono uccise. Di queste 120, 11 sono bambini e adolescenti), tasso di omicidi tra adolescenti +40% in due anni, overdosi ed abuso farmaci, incidenti auto. Nelle scuole, a molti bambini è imposto un corso di comportamento nel caso qualcuno entrasse in classe sparando con un mitra. E meno male che sono pro-life! Al 10° posto per teorica ricchezza pro-capite in realtà gli USA sono 120° per uguaglianza di reddito (WB 2020), dopo l’Iran ma prima del Congo (RD). L’ascensore sociale è rotto da almeno trenta anni, ammesso prima funzionasse davvero. Americani poveri, in contee povere, in stati del Sud, muoiono fino a venti anni prima degli altri. Gli afroamericani cinque anni -in media- prima dei bianchi. Col solo 4,5% della popolazione mondiale hanno il 25% della popolazione carceraria, spaventoso il grafico di incremento negli ultimi trenta anni. La media europea è di 106 incarcerati su 100.000 abitanti, in US è 626, sei volte tanto che è primato mondiale. Sebbene abbiano meno del 5% di popolazione mondiale spendono il 40% del totale mondo in spesa militare (a cui aggiungere le armi interne). Se ci si annoia coi libri di storia, basta guardare nell’immaginario la produzione cinematografico-televisiva per capire quanto attragga culturalmente la violenza, da quelle parti. La violenza è la cura dei contrasti sociali, atteggiamento pre-civile.

Avendo a norma sociale il libero perseguimento della felicità versione successo economico-sociale su base competitiva delle qualità individuali nel far soldi, non avendo idea di come il gioco sia truccato, mancando tradizione di pensiero e di analisi di tipo europeo (ad esempio per classi), questa massa di reietti, che spesso vivono in condizioni subumane, ovviamente arrabbiati quando non rintontiti da tv-alcol-farmaci-droghe, vengono reclutati dalle varie élite per sostenere o combattere ora questo, ora quel diritto civile. Il che alimenta questa tempesta di odio reciproco a livello di “valori”, che siano della ragione o della tradizione, ma mai economico-sociali. […]

È del resto certificato da studi di Princeton e Northwest sui contenuti delle leggi deliberate dal Congresso, già di dieci anni fa, che gli Stati Uniti sono una oligarchia e non una democrazia. È questa oligarchia che ha interesse ad incendiare il sottostante, lì dove il popolo si scanna per questioni di diritti civili, razza, prevalenza sessuale e non per diritti sociali, qualità della vita, ridistribuzione dei redditi e potere connesso. Ci sono presupposti per verificare questa profezia di una ipotetica guerra civile, profezia che dato il grande rilievo media dato in America rischia di diventare del tipo “… che si auto-avvera”? Ci sono parecchie ragioni per dubitarne, sempre che s’immagini barricate e vasti disordini per strada accompagnati da terrorismo interno. Tuttavia, per quanto l’analisi dovrebbe esser più profonda di quanto permetta un post, questa analisi specifica sulla crisi interna la società americana certifica che è il cuore della civiltà occidentale ad esser in crisi profonda. Per questo agli europei si consiglierebbe di allentare i legami trans-atlantici, gli americani sono destinati ad una continuata contrazione di potenza mondiale mentre all’interno danno sempre più di matto su tutto tranne che sul continuo aumento delle diseguaglianze, malattia mortale per ogni società.

Parecchia della fenomenologia perversa qui brevemente descritta, ha già contagiato le nostre società. Dal globalismo-neoliberale alla lagna unidimensionale sui diritti civili e non sociali che eccita la risposta tradizionalista, l’intero immaginario che percola dalle serie tv e dal cinema, l’intero Internet e la logica dei social, ora dell’A.I. che discende da un preciso milieu psico-culturale comportamentista (cioè finalizzato al controllo del comportamento e della cognizione, altro che “intelligenza”), la ripresa europea ed italiana nelle produzione e commercio di armi, la distruzione democratica già programmata dai primi anni ’70, la demagogia, l’ignoranza aggressiva, il drastico scadimento qualitativo delle élite, la scomparsa della funzione intellettuale, il semplicismo, l’infantile entusiasmo tecnologico, una irrazionale fede sul ruolo della tecnica, le epidemie di solitudine sociale e depressione, la farmaco-dipendenza, la plastificazione corporea e la manipolazione neurale. La crisi del centro anglosassone del sistema occidentale irradia da tempo tutta l’area di civiltà, anche dove l’antropologia culturale, sociale e storica, sarebbe ben diversa. Si consiglierebbe di cominciare a programmare un divorzio, una biforcazione dei destini, una rifondazione dell’essere occidentali che chiuda la parentesi anglosassone. Viaggiare i tempi complessi con questa gente alla guida potrebbe esser molto pericoloso. […]

Pierluigi Fagan

            
 
Suprematismo PDF Stampa E-mail

1 Giugno 2023

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 Da Appelloalpopolo del 30-5-2023 (N.d.d.)

È la convinzione più diffusa, direi di massa. La cultura occidentale sarebbe superiore a quelle orientali, islamiche, africane e indigene dell’America latina. Il cristianesimo sarebbe superiore all’islam. Il capitalismo sarebbe superiore al socialismo. L’esercizio di un’attività autonoma, impresa o libera professione, sarebbe moralmente superiore allo svolgimento di un lavoro subordinato, pubblico o privato. L’ultra-liberalismo contemporaneo sarebbe moralmente superiore al vecchio liberalismo, temperato dalla cultura borghese. L’odierno pluralismo conf-industriale di TV, radio e quotidiani sarebbe superiore alla partitocrazia da manuale Cencelli della prima repubblica.

La cosa interessante è che il 99% delle persone, che condividono la gran parte di queste affermazioni, è antirazzista e anti-sessista (ma mai, fateci caso, anticlassista). Una vita trascorsa nella credenza della superiorità di una civiltà, rispetto alle altre, e ad atteggiarsi ad antirazzisti e anti-sessisti: gli scemi del villaggio globale.

Stefano D’Andrea

 
Tracce di un nuovo paradigma PDF Stampa E-mail

31 Maggio 2023

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Nonostante le ultime facciate siano tenute in piedi dai mucchi di calcinacci già crollati, il sistema occidentale, esaurito nel potere e nell’economia, sta volgendo al termine. Nel crollo che tutto sta trascinando con sé, si nascondono però opportunità di rinascita. Nella contrazione generale che tutto ha coinvolto, c’è uno spazio che si espande e respira sotto le macerie della postmodernità. È una vena sottotraccia che non ha ancora il linguaggio idoneo per uscire e pubblicarsi, ma lo troverà. Si tratta delle voci di coloro che in tutto questo degradante decorso, che alcuni non esitano a chiamare catastrofico, riconoscono la presenza arimanica del suo genitore, il materialismo tout court. Con i suoi figli, l’agnosticismo, il positivismo, il capitalismo, lo scientismo, l’imperialismo; con i suoi nipoti, l’opulenza, l’individualismo, l’edonismo, il culto della personalità e quello del denaro; con i suoi dogmi, il progresso ad infinitum, la tecnologia, il tempo lineare, l’apparire, la prevaricazione del diritto sulla natura, esso forma una famiglia piuttosto invadente e pesante, che elegge la conoscenza logico-cognitiva quale sola idonea a realizzare sapere e verità, e che contemporaneamente oscura e mortifica l’intelligenza del cuore, la conoscenza già presente nell’essere, la bellezza e il talento di ognuno, il senso del bene comune, l’equilibrio individuale e sociale. In generale, tutto ciò che non fa profitto.

Quelle voci sottotraccia appartengono a uomini e donne muti, da molto senza rappresentanza, antesignane dell’astensionismo. Consapevoli che politica e popolo non hanno più alcuna relazione etica, ma rotte diverse e indipendenti. Ognuna di quelle voci opera a modo suo per estendersi, per aggregarsi in una forza comune. Parlano con circospezione di spiritualità, sanno che può essere facilmente fraintesa e censurata, derisa e vessata proprio da chi si vanta in tutti i colori d’essere paladino dei deboli. Quegli uomini e quelle donne evitano di citare che stanno solo cavalcando le vie già tracciate dai Maya, dai Toltechi, dagli Egizi, dal Buddhismo, dalla Qabbalah, dal Taoismo, dai Veda e da altre tradizioni, tra cui il Cristianesimo – quello vero, non quello posticcio, bigotto e superficiale diffuso a megafono dalla vulgata della religione. Si aspettano ritorsioni d’ordine vario, soprattutto esclusioni o – perché no – accusa di fascismo, perché sanno che quelle vie per qualcuno, siccome non si possono toccare, siccome la scienza dice che non ci sono, non esistono, non sono misurabili, siccome non sono confermate dal metodo, non vanno bene. Sanno che i censori sono quelli che risolvono la questione metafisica accusando di ciarlatanismo, convinti, con giusta causa, che la maggioranza crederà a loro. La gestione del virus e della guerra ucraina non bastano infatti ad aprire gli occhi alla moltitudine di genuflessi ubbidienti scientisti. Sono serenamente e convintamente prostrati, hanno tutta la loro famiglia culturale a proteggerli. Eppure, come con le diete dove, indipendentemente dai risultati, non impari nulla su te stesso e sugli uomini, anche il metodo, che ci addestra a credere solo e soltanto alle predefinite risposte che lo rispettano, impedisce di maneggiare i limiti del materialistico dominio sulla concezione del mondo e tutti i suoi particolari. Per ontologia, in esso non v’è alcuna maieutica, soltanto il necessario per ridurre la realtà a macchina e meccanismo. Inchinati al metodo razional-scientista, non c’è modo di evolvere, se non tecnicamente e tecnologicamente. Tutto il resto, la dimensione sottile ed energetica, castrata sul nascere, recede nell’oblio delle consapevolezze.

Le persone che avvertono la brace sotto le macerie del sistema al collasso – si veda se necessario l’opinione dell’idiota e mostro Putin, come lo definiscono i nostri maestri occidentali, del 9 maggio 2023 – sanno di essere al cospetto di un inesorabile cambiamento storico. Avvertono la storia e l’universo. Vedono la fine del monopolarismo e del modello unico in nome del quale l’Occidente produceva valori, modelli, criteri e verità al fine di esportarli nel resto del mondo e restare in sella al mondo. Sentono il cambio di frequenza energetica del cosmo, sanno che l’uomo non potrà sottrarvisi. Sanno che in tutto ciò risiedono le premesse di un atto evolutivo verso una convivialità nuova. La latente fioritura delle consapevolezze relazionali della fisica quantistica ne è un segno, in particolare la sua idoneità a svelare la verità del mondo alogico, ovvero di tutto ciò che non sta entro la piccola scatoletta del razionale. Sebbene la sua diffusione nel sociale, la sua penetrazione nella cultura, nell’educazione e nella politica avranno bisogno di tempo per compiersi, è sulla sua presenza che si fonda l’avvento del nuovo paradigma. All’interno di questo, la spiritualità non genera più un senso di inadeguatezza nelle persone che credono sia una suggestione senza diritto di essere. Spirituale ha un senso elementare. Significa semplicemente riconoscere che dietro ogni nostra espressione creativa, ma anche replicativa, c’è un cuore immateriale, come un’idea, come spesso si usa sintetizzare il cerchio della vita. Ma significa anche essere nel qui ed ora. Ovvero emancipati nei confronti delle interpretazioni che proiettiamo, credendo appartengano a ciò che vediamo. Una specie di formula alchemica spesso impropriamente declamata. Essere sul pezzo, per dirla in gergo giornalistico, o concentrazione, in quello psicologico; in termini esoterici, essere quanto stiamo facendo, annullare il tempo, divenire eternità. Essere quindi creativi e forti, al meglio delle nostre potenzialità.

Il contenuto della dimensione spirituale si riconosce anche con un sinonimo adatto a questi tempi: benessere fisico e interiore. È una percezione che, come qualunque altra dote, va coltivata ed è allenabile. Come ogni percorso, ha la sua durata, le sue difficoltà, le sue ricadute. Che corrisponderanno in modo direttamente proporzionale alla motivazione di cui disponiamo. È un percorso senza culmine, non soggetto al materialistico, quantitativo positivismo. È una ricerca permanente, da compiersi senza la pretesa del successo. Arrivati in vetta, infatti, altre cime da salire ci si mostrano, altrettanto lontane e impegnative, ma tutte raggiungibili se mossi dalla propria misura, non più in preda a ideologie sotto forma di interessi personali, di orgoglio, di egocentricità. Muovendosi attraverso se stessi, spogliati dalle autoreferenziali infrastrutture culturali, ci si trova al cospetto di un mondo che, sebbene formalmente identico, è sostanzialmente differente. Mentre nella fisica quantistica – ma l’avevano detto le Tradizioni da migliaia di anni – dove, a seconda dell’interlocutore, il comportamento delle particelle varia ed esse possono avere carattere ondulatorio o materico, e dove il fenomeno dell’entanglement tende a dimostrare la verità di un mondo alogico libero dall’impostura del tempo-spazio lineare, da quella tridimensionale e da quella della materia quale esclusiva verità, la realtà oggettiva ha ragione d’essere solo in un campo chiuso. Ovvero dove tutto si muove come in una macchina, cioè dove tutte le parti conoscono il loro ruolo e lo eseguono pedestremente. Come in un gioco di società, in una gara sportiva, come in ambito matematico, come nel meccanismo di un orologio. Diversamente, in campo aperto, in tutte le inorganizzabili e impianificabili relazioni umane, credere nella realtà oggettiva è una vera dimostrazione dell’arroganza scientista della conoscenza cognitiva. In ambito aperto sarebbe più opportuno parlare di realtà nella relazione, quale quantistico fenomeno, in quanto dipende da noi, dal nostro sentimento e dall’emozione che ci contiene.

La realtà è dunque una o un’altra in funzione dell’interlocutore, dei sentimenti e delle emozioni. Così descritta, la distanza dalla pretesa oggettività affermata dalla cultura logico-razionalista è massima. Contemporaneamente mostra la sua natura magica. Una natura inaccessibile con gli strumenti del materialismo e, in quanto tale, relegata al ciarlatanismo dalla cultura scientista oggi dominante. Dunque, una magia dalla quale è doveroso guardarsi, per chi è privo delle consapevolezze opportune. Ma una banalità per chi ha invece il necessario per osservarne la verità, per ricrearne le dinamiche, e dalla quale non si può più prescindere.

Quanto osservato e riferito dalla fisica quantistica non riguarda solo i laboratori dell’infinitamente piccolo. Si presta infatti anche a descrivere la realtà ordinaria. Riguarda quello che pensiamo, facciamo, sentiamo, vogliamo, crediamo. Se prima vedevamo le cose solo separate, elementi della realtà come il comò, le pattine e il centrino lo sono di un salotto, se prima potevamo usare la forza, forse anche la semplice intelligenza dialettica per sopraffare il prossimo, ora, in modalità quantica, dalla cima di certe consapevolezze, le cose appaiono nella loro contiguità. Significa anche che gli altri sono dei noi a tutti gli effetti, che sopraffare e prevaricare il prossimo è immettere nel reale forze sconvenienti a tutto. Significa avere coscienza che siamo totalmente responsabili della realtà individuale e sociale che viviamo. Essere consapevoli che, senza il nostro autentico impegno, non potremo lasciare alle future generazioni una cultura diversa dall’attuale status quo. Cioè quella delle opposte fazioni, della negazione del rispetto, dell’impiego della forza oggi sempre meno bruta, ma sempre più sottilmente digitale. Significa dedicarsi al superamento dell’egoico dualismo, origine di tutti gli scontri, per realizzare la realtà attraverso il modo della relazione. La concezione di una realtà attraverso il modo della relazione permette di riconoscere che quanto ci appare ovvio e vero non è che l’appiattimento del nostro genio nei confronti delle descrizioni della realtà che abbiamo appreso dai genitori, dall’ambito di nascita e infanzia, scuola, voci da noi accreditate.

Ma ora che anche la fisica, nel suo passo quantico, ha raggiunto le prospettive che necessariamente relegano la scienza classica a dato minore e autoreferenziale, ora che è divenuto evidente che averla creduta assoluta risulta quantomeno inopportuno alla conoscenza, i signori scientisti, per restare fedeli al culto della Scienza, dovrebbero avvedersi e rivedersi. Fu impugnando la torcia dei lumi che si credette di poter ridurre la vita a sola materia. Socialmente parlando, fu facile trasferire quelle convinzioni e reificare via via ogni cosa. Tutto ruotò e ancora ruota attorno al perno dell’economia. Niente ha finora potuto godere di più attenzioni del Pil, della produttività, del denaro. E se quello era il perno, sotto al giogo a tirare la pietra della macina c’eravamo tutti noi. C’è di mezzo un’ecologia della mente, senza la quale convinzioni e dogmi continueranno a intossicarci, a ucciderci vicendevolmente e da soli. Oggi siamo avveduti delle carte che abbiamo in mano. Non vogliamo più giocarle dietro consiglio di qualcuno o di qualcosa d’altro che non sia il nostro sentire. Non vogliamo più creare società, uomini dominati dalla paura che obbliga ad anelare sicurezza, che impedisce di volare, che castra l’atteggiamento creativo, la potenza più infinita. Né individui e società alienate, psicopatiche, per le quali è ordinario e comprensibile lo sfogo della violenza sugli altri e su di sé. Il progresso ci ha messo all’angolo di noi stessi. Ci ha comprato come con gli specchietti comprava i nativi e i colonizzati. È bastato un benefit o un mutuo per la tv al plasma. Ci ha devastato lo spirito creativo. L’uomo del nuovo paradigma potrà recuperarlo.

Lorenzo Merlo

 
Senza contante nell'alluvione PDF Stampa E-mail

28 Maggio 2023

 Da Comedonchisciotte del 25-5-2023 (N.d.d.)

La visione della Romagna devastata dalle esondazioni non andrà via presto dalla nostra memoria. Certo, non è la prima calamità naturale che ci capita di affrontare come Paese. Inutile approfondire quel che già sappiamo: la mancanza di manutenzione del fragile territorio italiano peggiora sempre la situazione. Ma a questa brutta faccenda se n’è aggiunta un’altra che, prepotentemente, si sta presentando nella vita di molte persone e dei piccoli centri isolati che hanno vissuto il dramma di rimanere senza elettricità. Nell’era tecnologica, quella della moneta digitale, quella che il “contante andrà sparendo”, la mancanza di corrente elettrica ha creato un formidabile corto circuito, perché senza contante in tasca non si è più potuto comprare niente. Con il bancomat fuori uso, con il piccolo supermercato del paese che per questo motivo non accetta le carte di credito ma solo moneta sonante, chi non aveva previsto il peggio, chi non aveva soldi in casa si è trovato improvvisamente spiazzato, inerme, in balia degli eventi. “Io avevo 16 centesimi in tasca. Mi arrangerò in qualche modo”. Questo leggo in un’intervista, una delle tante che in questi giorni affollano i giornali locali e nazionali. Eppure, secondo la propaganda mediatica, in questo mondo non dovremmo avere più soldi in tasca, una società “libera” dalla carta moneta, dove i pagamenti siano completamente digitalizzati, dipendenti dal funzionamento di un bancomat, dalla lettura di un chip. E invece la realtà irrompe nelle nostre vite: là fuori c’è gente che da giorni sta spalando il fango dalle proprie case, e nella concitazione non ha pensato di correre a procurarsi i soldi per comprare i beni di prima necessità, forse neppure gli sarebbe possibile, e soffre perché si sente impotente, e reagisce come può.

Perché di questo si sta parlando: la presunta comodità dell’individuo dipendente in tutto e per tutto dalla tecnologia digitale barattata con la sua libertà d’azione e con la sua sopravvivenza, perché quando entri in un supermercato in un piccolo posto della provincia italiana, dove le connessioni o peggio ancora l’elettricità non arriva per qualche giorno, e da cui non ti puoi allontanare perché le frane e gli smottamenti ti obbligano a restare dove sei, ecco che, dramma nel dramma, ti accorgi di non avere soldi in tasca, e ti rendi conto, improvvisamente, che la tua vita dipende da un circuito digitale, da una macchinetta collegata a qualcosa molto più grande di te e a cui hai delegato la tua vita, e che in quel momento non funziona, lasciandoti completamente al verde. E così non puoi comprare nulla, se non a credito (ammesso che te lo accordino), fino a quando sei costretto a rimanere lì, a casa, pregando che gli smottamenti ti lascino stare. Bella libertà, quella dove non puoi neppure comprarti un litro di latte se la carta di credito non la puoi usare. Pensate, se un giorno dovese essere obbligatorio per ognuno di noi chiedere il permesso di spendere i propri soldi perché sono soggetti all’arbitrio costantemente di “qualcun altro”: “…il POS è gestito dalla banca, bancomat e carte di credito sono in mano alla banca. Mentre i contanti sono emessi, garantiti e gestiti dallo stato in forma gratuita, gli strumenti elettronici e le transazioni sono gestiti dal sistema bancario.” Pensate la portata del dominio digitale sulle nostre vite se dovessimo davvero rinunciare del tutto al contante. Pensate la devastazione di chi ora, in un territorio così martoriato come quello romagnolo, si ritrova a dover fare i conti con l’assenza di denaro in tasca. Ci è stato detto e ripetuto più volte che l’utilizzo del contante nasconde l’illegalità, ma è una bugia: “Secondo una recente indagine dell’Eurosistema, nel 2020 circa il 40 per cento dei cittadini europei ha effettuato pagamenti in contante in proporzione minore rispetto al passato, senza che nessuna flessione sia stata invece registrata in tema di flessione dell’evasione fiscale. Il tutto confermando quindi quanto già nel Report della Commissione Europea (COM (2018) 483 final) che evidenziava come la correlazione percettiva tra evasione e utilizzo di contanti sia totalmente indimostrata.” Il limite al contante non serve a scoprire il nero e il malaffare. E quindi, perché continuare a spingere nella direzione della lotta contro di esso? La risposta la intuiamo tutti: perché il denaro che passa di mano in mano non si può controllare; e quindi, di conseguenza, non si può controllare chi lo usa, cioè noi, per la maggior parte gente per bene.

Il contante garantisce che i cittadini possano esercitare il loro diritto di determinare come risparmiare e come spendere i propri soldi. Ecco perché la disgrazia in Emilia-Romagna può rappresentare un’importante lezione: al di là delle narrazioni diffuse e sponsorizzate da chi ha interesse a farlo, i soldi in tasca ci garantiscono di poterci dire, ora come non mai, donne e uomini liberi.

Padroni del nostro destino nonostante il fango. In tutti i sensi.

Katia Migliore

 
La farsa del tetto al debito USA PDF Stampa E-mail

26 Maggio 2023

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 Da Comedonchisciotte del 13-5-2023 (N.d.d.)

Ci risiamo! Come nei palinsesti dei canali televisivi ci vengono riproposti più volte i remake dei famosi kolossal del cinema, anche la politica americana – con il mondo dell’informazione di tutto il globo a farne da megafono – ripropone ai più fessi – e tediando invece chi ha ben compreso la frode – la novella dell’innalzamento al tetto del debito pubblico degli Stati Uniti. La scadenza dopo la quale tutto il pianeta sarà invaso dalle cavallette, se il Congresso USA (Camera e Senato), non voterà l’ennesimo innalzamento del tetto, è il primo giugno prossimo. Ma cosa è il “tetto al debito” degli Stati Uniti?

Il tetto al debito USA è stato introdotto nel 1917 attraverso il Second Liberty Bond Act, secondo cui il Congresso non doveva autorizzare più il governo per emettere buoni del Tesoro al fine di finanziare la spesa. La ragione di quell’atto fu dettata dal fatto che si era nel pieno della Prima guerra mondiale, per cui si ritenne opportuno consentire all’allora presidente Woodrow Wilson di indebitarsi quanto necessario per sostenere le spese del conflitto in modo snello e senza intoppi burocratici. Tuttavia, si fissò un limite ai prestiti, di modo che non si desse il potere al presidente di farsi prendere la mano e andare oltre misura. Quindi, si decise che per aumentare quel tetto al debito ci dovesse essere un passaggio parlamentare autorizzativo. In buona sostanza, il Congresso doveva legiferare per consentire il superamento del limite. Il Second Liberty Bond Act, che si rifaceva a una misura urgente, divenne definitivo e ogni anno negli USA si è determinato una stretta all’indebitamento. Il tetto al debito USA dunque non è altro che un limite di emissione di titoli di Stato per finanziare la spesa pubblica. […]

dagli anni 80′, il debito pubblico degli Stati Uniti ha iniziato una vera e propria scalata degna del miglior free Climber al mondo, che lo ha portato da meno di 2 trilioni di dollari a superare i 16 trilioni. Nonostante i continui innalzamenti al tetto votati dal Congresso, niente cavallette né meteoriti si sono abbattuti sulle vite degli americani e nel resto del mondo. Dal 2012 a forza di innalzamenti (nell’era Trump l’operazione è stata eseguita per ben tre volte per un totale di 8 mila miliardi di deficit), siamo arrivati al 2021, quando il tetto del debito è stato fissato dal Congresso Usa a 31.400 miliardi di dollari. Pensate un po’, con una scalata che a livello grafico potrebbe essere equiparata ad una performance in parete verticale, in meno di 10 anni il valore totale del debito è stato addirittura raddoppiato. E, nonostante ciò, il nuovo sforamento ci viene presentato come una serissima minaccia allo status del mercato dei bond come rifugio sicuro ed allo status del dollaro Usa come valuta di riserva del mondo. Ad ascoltare le reciproche dichiarazioni politiche sul tema esposto, tra democratici e repubblicani – del tutto identiche a quelle che ascoltiamo in Italia – ci è ancora più chiaro quanto la farsa sul debito pubblico sia opera di poteri che agiscono a livello globale. I repubblicani hanno di recente acconsentito a un innalzamento del tetto di 1500 miliardi, ma a una condizione: che venga concesso un taglio di 4500 miliardi di dollari in dieci anni. In questo modo, si legge su Quotidiano Nazionale, verrebbero colpiti i progetti del presidente Usa attuale in numerosi settori. Non è difficile cogliere nelle righe appena riportate, la totale assonanza di intenti con il meccanismo di rientro per i paesi europei ad alto debito, oggetto dell’attuale riforma del Mes.

Il presidente Biden ha ipotizzato addirittura di invocare il 14esimo emendamento della Costituzione, che gli consentirebbe di ignorare il tetto del debito e continuare a versare denaro nelle casse dello stato. Ma la segretaria del Tesoro non è d’accordo e considera il piano “non solo discutibile da un punto di vista legale, ma anche poco efficace”. Insomma, sembra di essere veramente dentro un film da “fine del mondo”, dove tra la gente si crea la spasmodica suspense del più grande disastro in arrivo, per far dimenticare loro le immani sofferenze che vivono giorno dopo giorno da decenni nel loro quotidiano. Tutti i costituzionalisti americani sono al lavoro per valutare se a livello legale Joe Biden potrà superare lo stallo ricorrendo al 14esimo emendamento, ovvero un qualcosa che ci farebbe tornare indietro nei secoli. Ratificato nel 1868, l’emendamento che estese agli schiavi liberati il Bill of Rights, ha anche una sezione che fa riferimento al debito pubblico: “la validità del debito pubblico degli Stati Uniti, autorizzato dalla legge – recita l’emendamento – non può essere messa in discussione”. In queste settimane diversi esperti, tra i quali costituzionalisti come Tribe, hanno espresso la convinzione che Biden possa appellarsi a questo emendamento per risolvere la crisi senza bisogno di raggiungere un accordo con i repubblicani. Ma il ruolo dell’attore che inscena alla perfezione nell’animo della gente la catastrofe perfetta, in perfetta simbiosi con il politici europei, è affidato all’amica di Mario Draghi, l’attuale segretario del Tesoro Janet Yellen. La quale profetizza il classico conto alla rovescia da qui al primo giugno, con tanto di sprint finale per evitare un “catastrofico default”, nel caso non si alzi o non si sospenda il tetto al debito. Una data che potrebbe scatenare un vero terremoto e che costerebbe – secondo la Casa Bianca – 8 milioni di posti di lavoro, drastici tagli alla spesa pubblica e perturbazioni finanziarie globali, dato che finora il mondo ha considerato il debito pubblico Usa l’asset sicuro per eccellenza. Yellen, in Giappone per una riunione dei ministri finanziari del G7, ha sottolineato che “anche senza arrivare al default, il rischio politico ‘calcolato’ sul tetto del debito può comportare costi economici gravi” e ha avvertito che se gli Stati Uniti non riuscissero a soddisfare ai loro obblighi finanziari, sarebbe una “catastrofe economica e finanziaria”. “Come abbiamo già sperimentato nel 2011 – ha dichiarato ancora la ministra del Tesoro Usa dal Giappone -, anche la semplice minaccia di default può condurre a un declassamento del nostro rating finanziario e a un indebolimento della fiducia dei consumatori con un innalzamento dei tassi di interesse sui crediti”. In definitiva, ad ascoltare la Yellen, pare proprio che dopo che dal 1960 per ben 80 volte il Congresso ha alzato o sospeso il tetto al debito, l’ottantunesima volta non ci possa essere e che alla Federal Reserve non abbiano la minima intenzione di premere con il dito indice su quel tasto del computer che permette loro di creare dal nulla quei dollari in più che servono al governo per far fronte ai propri impegni. Il contatore elettronico del debito pubblico Usa è fermo a 31,4 trilioni di dollari e farlo ripartire pare sia più difficile che scalare l’Everest d’inverno a piedi ed in costume.

Una domanda: ma chi li possiede tutti questi 31,4 trilioni? almeno fateci un elenco dei primi 50 possessori al mondo. Perché se il contatore non riparte, urge una redistribuzione…. se non vogliamo una guerra!

Fabio Bonciani

 
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25 Maggio 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 22-5-2023 (N.d.d.)

“8 Autori su Theodore Kaczynski”  di Andrea Larsen- Primo saggio critico sul pensiero dell’uomo passato alla storia come Unabomber- War-Wave Editore, maggio 2023   Pagine 218 https://andrealarsen.it/libri/8-autori-su-kaczynski/

Questo è il primo libro dedicato interamente a Theodore John Kaczynski, meglio noto come Unabomber, il genio matematico ricercato per 18 anni in tutti gli Stati Uniti, arrestato nel 1995 in una capanna del Montana e successivamente condannato all’ergastolo per aver causato la morte di tre persone con le sue bombe inviate per posta. Il suo libro principale, detto Manifesto di Unabomber, è stato pubblicato in versione integrale in lingua italiana dalla Casa Editrice War-Wave nel 2021. Otto Autori diversi e di diversa formazione, otto pareri scritti in modo indipendente, ma che hanno in comune qualcosa: Unabomber ci ha azzeccato in pieno. Trent’anni dopo l’uscita del suo libro principale i fatti gli stanno dando pienamente ragione. I temi cari a chi era stato uno stimato Professore di Berkeley sono la priorità della Natura, la follia della società industriale-tecnologica, la degenerazione psichica e sociale dell’Occidente, l’immancabile fine di questa civiltà.

I “benpensanti” lo hanno considerato un pazzo, lui, genio della matematica e della razionalità. Avrebbero dovuto preoccuparsi, perché aveva usato una metodologia di pensiero completamente accettata dalla cultura corrente. Infatti Kaczynski non è un “profeta”, un “veggente”, un astrologo, uno che vede il futuro “in trance”: si tratta di proiezioni in avanti di un matematico di grande valore. I “benpensanti cartesiani”,  i fedeli seguaci del sistema, dovevano preoccuparsi e agire di conseguenza, invece hanno preferito considerarlo un “pazzo”. Era un esperto dei sistemi complessi, che diventano sempre ingovernabili oltre un certo orizzonte temporale. Ma nessuno lo ha ascoltato. Ha ammazzato tre persone per veder pubblicate le sue idee, è scampato per un pelo alla condanna a morte. Ciò non toglie che la civiltà industriale-tecnologica, come sistema complesso, è attualmente ingovernabile e destinata al collasso. La politica è del tutto ininfluente: l’ex-professore di Berkeley  mette ripetutamente in guardia dalle “illusioni sinistroidi”, che sono sempre presenti più che mai in questa civiltà industriale-tecnologica che ha invaso tutto il mondo.

Il libro è anche un avvertimento. Come uscirne? Una rivoluzione? Se andiamo alla radice di pensiero di questa civiltà, troviamo quattro miti (dall’articolo Perché la spinta alla crescita è così potente da aver invaso tutto il pianeta? (ariannaeditrice.it)  di Gloria Germani):- Il mito del tempo lineare della storia e del Progresso; - Il mito della materia (un oggetto separato dal soggetto che lo studia) che è il  fondamento del pensiero scientifico meccanicista con i suoi derivati: specializzazione, tecnologia, industria; - Il mito della scienza cartesiana-newtoniana dominante dall’Ottocento in poi; - Il mito dell’Ego, proclamato dal pensiero occidentale (Cogito. Ergo sum) come separato dal mondo ed esaltato anche tramite la pubblicità.

In sostanza, questi miti sono nati dall’idea, gonfia di superbia, di essere separati e diversi dalla Natura, di cui invece facciamo parte integrante, come specie animale, come cellule di un Grande Organismo.

Ma allora, quale tipo di rivoluzione è necessaria?

Guido Dalla Casa

 
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